L’Islanda è, nell’immaginario collettivo, “Ultima Thule”: la terra ai confini del mondo dove la Natura e l’Uomo si incontrano e le velleità di controllo della nostra specie sfidano le indomabili forze che plasmano il pianeta. L’isola è, pertanto, una meta ambita da coloro che vogliono ammirarne la bellezza e comprendere il suo segreto, osservando i processi geologici che ne hanno forgiato l’aspetto.
Per chi studia Scienze della Terra, fin dai primi passi del percorso universitario, l’Islanda è un punto di riferimento imprescindibile. Non c’è esempio migliore per spiegare l’espansione degli oceani, il movimento delle placche o l’origine del magmatismo. Essa è, infatti, l’unico luogo sul pianeta nel quale è possibile studiare la Dorsale Medio Atlantica: la spaccatura lunga 10000 km da cui il magma fuoriesce a formare nuova crosta oceanica, separando alla velocità di 4 cm all’anno Nord America ed Europa, Sud America e Africa.
E c’è di più. Se in passato l’Islanda è stata molto importante nella costruzione della teoria della tettonica delle placche, che è alla base della moderna geologia, oggi lo è per le ricerche sul cambiamento climatico e per la sperimentazione di tecnologie innovative volte alla transizione energetica.
Il progetto speciale per la didattica MOR-Ice nasce, dunque, dalla volontà di portare 8 studenti magistrali, con formazione e aspirazioni molto diverse, a dialogare tra loro sul futuro delle Scienze della Terra in un viaggio di oltre 2000 km alla scoperta del territorio islandese, incontrando tecnici e ricercatori che su di esso stanno lavorando.
Quali aspetti affrontati durante il progetto pensi ti saranno utili nel tuo futuro percorso accademico?
Marco Solinas: Grazie a MOR-Ice ho potuto constatare quanto sia fondamentale un approccio scientifico multidisciplinare per cercare di ricostruire ed interpretare la geologia di un’area estremamente dinamica come l’Islanda. Inoltre, ho avuto l’occasione di osservare in prima persona ambienti e contesti di lavoro eccezionali, come il team internazionale finanziato dalla National Geographic Society presso il campo lavico di Fagradalsfjall. Penso che tutto ciò abbia rappresentato un’opportunità unica per capire dove indirizzare la mia carriera accademica.
Debora Lazzerini: Il progetto MOR-Ice mi ha consentito di entrare in contatto con elementi e strutture geologiche che difficilmente uno studente, nella sua carriera universitaria, riesce a vedere: vulcani e fratture lungo la Dorsale Medio Atlantica, ghiacciai come il Vatnajökull e cascate. La cosa che più mi ha colpito è stata la tangibile rapidità dei cambiamenti, sia morfologici, sia climatici. Ciò sarà di aiuto nella mia carriera accademica per la comprensione dei fenomeni geologici a più lungo termine e nella valutazione di un possibile rischio geologico.
In che modo il progetto ti ha arricchito come persona?
Alice Tomassini: Dopo tanti mesi di chiusura e paura condizionati dalla pandemia, il progetto ha risvegliato in me il desiderio di viaggiare per fare ricerca e lo spirito di avventura e curiosità con cui avevo iniziato l’università.
Giulia Cheli: A livello personale, collaborare e confrontarmi sul campo con colleghi con un differente background di studi mi ha permesso di acquisire nozioni che altrimenti avrei potuto apprendere in maniera soltanto superficiale.
Roberto Fontana: Grazie a questa esperienza ho condiviso momenti impagabili e scambiato idee con compagni di università e docenti. Sono tornato a casa con una più ferma convinzione: partendo da un interesse comune si possono instaurare rapporti preziosi, capaci di arricchirti nel profondo.
A fare da guida nella terra del ghiaccio e del fuoco sono stati tre docenti: Andrea Columbu, esperto in paleoclimatologia; Maria Di Rosa, esperta in geologia strutturale; e Pier Paolo Giacomoni, esperto in petrografia e … salse islandesi per salmone!