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Le nuove sfide dell’insegnamento fra Ai e nuove tecnologie. Intervista a Elettra Stradella, nuova direttrice del Teaching Learning Center UNIPI

La professoressa Elettra Stradella, associata Diritto Pubblico Comparato del Dipartimento di Giurisprudenza, da gennaio 2024 è la prima direttrice del Teaching Learning Center (TLC) con un incarico che durerà sino al 31 ottobre 2026.

Istituito a novembre del 2023 il TLC è stato inizialmente coordinato dal prorettore Giovanni Paoletti e della professoressa Cecilia Iannella che, insieme al comitato scientifico e ai rappresentanti dei dipartimenti e delle scuole dell’Università di Pisa, hanno avviato un lavoro sulle tre linee di azioni fondamentali che animano la missione del Centro: formazione degli e delle insegnanti delle scuole superiori, trasformazione della didattica attraverso le tecnologie, e realizzazione di pratiche didattiche innovative anche attraverso la formazione del corpo docente e ricercatore del nostro Ateneo.

Poste queste basi, gettiamo uno sguardo sul prossimo futuro.

Professoressa Stradella, quali sfide ha di fronte come direttrice del TLC?

Il TLC è rappresentato da un gruppo di persone che si impegnano da tempo nell’ambito della didattica: dalla formazione per futuri e attuali insegnanti delle scuole (dall’infanzia alla secondaria di II grado), ai Progetti speciali, finanziati a docenti di UniPi che intendono portare idee e metodi nuovi nei propri insegnamenti, al noto “Insegnare ad insegnare”, fino alla creazione, nel 2022, della comunità di mentori, con la quale i/le docenti si supportano nella messa in pratica di modelli efficaci di insegnamento e apprendimento. La prima sfida, quindi, è certamente quella di portare avanti i progetti avviati, garantendone la sostenibilità e ampliandoli ad un maggior numero di destinatari all’interno e all’esterno dell’Ateneo. La stretta collaborazione con il Cidic credo peraltro sia essenziale anche per dare sempre maggiore visibilità all’impegno sulla formazione e sull’innovazione della didattica che il TLC si propone.

Poi ci sono sfide che provengono dall’esterno e ci mettono alla prova come docenti, e dunque a maggior ragione come docenti che abbiamo deciso di dedicare una attenzione particolare alla “missione” della didattica: penso a quella proveniente dall’impatto dell’Intelligenza Artificiale sul modo di conoscere, di insegnare, di apprendere; proprio su questo abbiamo organizzato una tavola rotonda in occasione della Fiera Didacta che si terrà a Firenze a marzo.

Si dice che l’insegnamento sia una vocazione, ma si può imparare ad essere brave professoresse e bravi professori?

Personalmente credo che l’insegnamento sia una vocazione così come lo è la ricerca, o tante altre attività che richiedono una particolare connessione tra quello che si è e quello che si fa, tra come ci si percepisce e quello che si riesce a mettere nel compito che si è chiamati a svolgere. Ma come per tutte le attività che si realizzano nel migliore dei modi quando c’è una vocazione, e dunque quando si sentono veramente significative nella propria vita, resta la necessità di imparare a farle bene. Attraverso la preparazione, lo studio, e l’esercizio. Non si vede perché questo non debba valere per l’insegnamento.

Per molto tempo invece questa idea non ha fatto breccia nel mondo universitario (mentre da più tempo è una consapevolezza in quello della scuola), dove un po’ tutti e tutte abbiamo pensato che se si è buoni studiosi per forza si sa anche insegnare. Le numerose trasformazioni che hanno interessato negli ultimi anni l’università e l’insegnamento universitario, con una particolare accelerazione a seguito della fase pandemica, mostrano invece l’esigenza di metterci in discussione come docenti e di confrontarci con metodi e linguaggi nuovi se vogliamo davvero raggiungere gli obiettivi che ci poniamo con la didattica, vale a dire trasmettere conoscenza, sviluppare competenze, stimolare capacità critiche e trasformative della realtà che ci circonda.

L’Università di Pisa nel 2100: come si farà lezione secondo lei?

Ricordavo poco fa il panel che faremo a marzo a Didacta; è evidente che la risposta a questa domanda è fortemente condizionata dall’evoluzione tecnologica. Alla fine dello scorso anno l’Unesco ha pubblicato un documento contenente linee guida per l’utilizzo dell’IA nella formazione, definendo questo tema come urgente, soprattutto alla luce degli approdi dell’IA generativa, e del suo duplice volto di opportunità e risorsa per lo sviluppo umano, ed insieme di amplificatore di pregiudizi, discriminazioni, diseguaglianze.

Chiaramente la questione non è solo quella, a cui ovviamente subito pensiamo, per cui nel 2100 (molto prima in realtà!) tutti i nostri studenti e le nostre studentesse scriveranno le loro ricerche, i loro paper, le loro tesi di laurea attraverso CharGPT e simili, rendendo di fatto inutile assegnare un tipo di compiti che per decenni hanno rappresentato il principale strumento di valutazione in ambito accademico.

Che futuro ci aspetta quindi con l’Intelligenza Artificiale, quali le opportunità e quali i rischi?

Questi strumenti potranno essere utilizzati, come viene sostenuto da numerosi esperti, per liberare tempo ed energia umana (e dunque anche di docenti e studenti) a vantaggio di livelli di attività e di pensiero meno meccanici e ripetitivi. I profili compilativi dell’insegnamento e dell’apprendimento potranno essere delegati alla macchina, lasciando alla relazione la dimensione creativa. E’ recente la notizia della attivazione, da parte di alcune università private, di un chatbot di intelligenza artificiale generativa, con tecnologia Open AI, che risponde in tempo reale agli studenti con chiarimenti e approfondimenti sui programmi dei corsi in base a contenuti predisposti dai docenti stessi.

Questo pone un ulteriore problema: quello del rischio di accentuare le diseguaglianze nella formazione derivanti dalla disponibilità di risorse per poter effettivamente accedere all’innovazione tecnologica. Come faremo lezione e come l’Università nel futuro dipende dunque da come decideremo di guidare e utilizzare lo sviluppo tecnologico. Personalmente mi auguro che riusciremo in ogni caso a farlo valorizzando il significato proprio dell’Università a partire dalle sue origini: quello di comunità, per sua natura fatta di condivisione di esperienze, e di pluralità di approcci e di saperi.

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